La scrittura di sé non è una cronaca, non è una successione di fatti, per quanto presentati in modo accattivante, non è una ­coperta che protegge ma soprattutto copre: la scrittura di sé è la rivelazione al termine di un lungo processo di esplorazione, di interpretazione e di immaginazione, che ci permette di rianimare gli eventi della nostra vita e di coglierne una verità possibile. Lo scavo interiore deve essere condotto con pazienza, rinunciando ai pregiudizi e agli stereotipi. Non è detto che ciò che troviamo nello scavo sia ciò che avremmo voluto o pensato di trovare. Se i reperti che ha portato alla luce non sono quelli che avrebbe sperato di trovare, l’archeologo non può forzarne l’interpretazione e l’attribuzione. Deve prendere atto di quella che può onestamente considerare l’interpretazione più aderente alla verità, accettarla e da lì procedere. Così è per il nostro scavo interiore: se la nostra ricostruzione dei fatti è arbitraria o menzognera o idealizzata, non ci sarà di nessun aiuto per vivere meglio il presente e per costruire il futuro. Deve essere il nostro “sé” più profondo a guidare la ricerca, non l’io superficiale che pensa alle soluzioni più facili e convenienti.