I ricordi non hanno ordine: vengono e vanno. Col tempo tendono a diventare più numerosi quelli che scompaiono, poi arriva un momento in cui ci si sorprende a scoprire che i più lontani si ripresentano con una nitidezza che manca ai più vicini.
Si avverte, allora, come un bisogno di fare qualcosa perché non si perdano irrimediabilmente, quasi un tentativo di sottrarli a questo destino, nella consapevolezza che è comunque una questione perso­nale ma che, forse, può stimolare la curiosità degli altri.
Nessun’altra ragione sta al fondo di questo mio viaggio, lungo all’incirca mezzo secolo, tra gli appunti di incontri per lo più professionali con personalità che, facendo un mestiere diverso da quello del giornalista, non avrei potuto conoscere, tanto o poco. Sono stato giornalista quando i giornalisti non erano ancora finiti “nel labirinto di una tecnologia scagliata senza controllo verso il futuro”, per dirla con García Márquez. Ma sto sperimentando anche il dopo, tuttora in corso con le sue molte­plici incognite…