Molto è stato scritto sull’offensiva austro-tedesca dell’ottobre del 1917 sul fronte dell’Isonzo, ma non molto spazio è stato dato alla voce di quelli che ne sono stati travolti e, fatti prigionieri, al loro rimpatrio hanno dovuto giustificare la loro cattura per respingere il sospetto d’essersi arresi senza combattere. Non era stato solo il sospetto del rifiuto di combattere, o di non averlo fatto abbastanza, a far sì che le autorità italiane diffidassero profondamente degli ex prigionieri rimpatriati. C’era anche la convinzione che avessero maturato dei sentimenti ostili nei confronti delle autorità politiche e militari e questo le aveva portate ad individuare in ogni ex prigioniero un potenziale sovversivo nei confronti del quale era necessaria una ferma azione di controllo e repressione piuttosto che di assistenza dopo mesi, od anni, di incredibili patimenti nei campi di prigionia nei quali, tra l’altro, avrebbero potuto essere stati inquinati da idee bolsceviche.