Possesso perenne acquisito durante gli anni dell’infanzia e i continui ritorni nella regione natìa, l’Abruzzo concreto e talvolta rude, indubbiamente caratteristico, si trasfigura nella penna di d’Annunzio in spazio metastorico. Diventa cioè la dimensione mitica, in dialogo continuo con la classicità greca e ancestrale, in cui sia le ambientazioni sia i personaggi delle prose o dei versi trovano spontaneamente il loro posto e spessore. Tra le pagine del Notturno, del Libro ascetico o del Segreto si disegna, per esempio, il ritratto della madre, che incarna l’origine per antonomasia e determina il continuo nostos ad essa, reinterpretato liricamente nel focolare domestico di Itaca e nel viaggio in Grecia di Maia. La conoscenza approfondita di d’Annunzio come dell’Abruzzo ha calato a tal punto Pino Papponetti nell’opera del suo conterraneo che, in piena obbedienza alla norma dannunziana, egli può condividere col Vate la formula qui protagonista: «l’Abruzzo sono io».
Il curatore
Giuseppe Papponetti (1945-2012) è stato Presidente della Fondazione “G. Capograssi” (sede regionale autonoma in Sulmona) e del Centro Ovidiano di Studi e ricerche, nonché Direttore dell’Istituto Nazionale di Studi Crociani e del Centro nazionale di studi dannunziani. Studioso di Filologia umanistica fra Trecento e Cinquecento, si è anche occupato di folclore e storiografia meridionale ottocentesca. Fra le sue pubblicazioni, Umanesimo di frontiera (Quaderni di “Provincia Oggi”, 1997), Il vivere inimitabile. Saggi dannunziani (Alle Case pente, 1997), Gadda - d’Annunzio e il lavoro italiano (Fondazione Ignazio Silone, 2002), l’antologia siloniana Ai piedi di un mandorlo (Nerosubianco, 2009) e un D’Annunzio essenziale (Ediars, 2010).