Gesualdo Bufalino ha rivelato la sua grandezza di letterato nei più vari generi letterari (dal saggio alla poesia, dall’aforisma all’elzeviro) ma la sua fama è soprattutto legata all’attività narrativa. In questo volume Giuseppe Traina raccoglie una serie di studi nei quali esplora i romanzi e i racconti di Bufalino, da Diceria dell’untore (1981) a Tommaso e il fotografo cieco (1996), ricostruendo le reti di corrispondenze intertestuali e illuminando i significati reconditi di una scrittura narrativa che ha saputo esorcizzare, con l’eccellenza dell’artificio, le più pungenti dolenzie dell’animo. Con l’intento di ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, la necessità dell’opera bufaliniana in quella narrativa italiana di fine secolo che – in piena “crisi delle ideologie” – andava alla ricerca di punti fermi e alla quale lo scrittore di Comiso offriva, dietro l’apparenza di un’inattualità barocca, una via di fuga coscienziale e neo-umanistica di sorprendente vitalità. Come in questo libro si cerca di dimostrare, Bufalino è riuscito a spiegarci che – quando l’intelletto s’è nutrito negli orizzonti vastissimi della Biblioteca – pure in una «provincia di lune dolci e di amici mediocri» può accadere il “miracolo” d’una paradossale felicità: la cui esistenza può leopardianamente costituire un cruccio conoscitivo non meno acuto di quello riguardante un’Altra Esistenza.