Fare “esercizi di memoria” è difficile. Non sono quasi mai liberatori. A volte non sono fedeli alla storia se non alla propria e questo è già un ottimo risultato. Richiedono a chi li pratica e li racconta una grande esposizione. Possono produrre sentimenti contrastanti in chi nella storia individuale narrata riconosce momenti, eventi, strade che ha frequentato.
Se, come in questo caso, raccontano anni nei quali una generazione ha investito così tanto in un sogno che si imbastiva con un’analisi politica tagliente, che nella memoria e nel libro non viene rinnegata, allora bisogna leggerlo. È certo che non ci si imbatte in una nostalgica celebrazione dell’anniversario 1968-2008.
Quando la vita e la politica si mescolavano fino a diventare la stessa cosa, quando il personale era politico, non era difficile alimentare la lotta, la fantasia, la speranza.
Roberto Baravalle le racconta con ironia, senza toni epici. Solo a tratti con un rimpianto che non è mai amaro né passatista, proprio perché lo riscatta la consapevolezza di un oggi così maledettamente diverso. Fatalmente diverso? Non c’è risposta, se non nei racconti, dove alcuni sguardi, fantasie e ideali della generazione del Sessantotto riecheggiano quasi a suggerire una speranza.
Talvolta, in questi racconti affiorano passioni e interessamenti tipici dell’autore, che ci ha portato a condividere già in suoi precedenti lavori.
Conclude il volume un’affollata narrazione sull’ultima mostra di Andy Warhol a Milano, nell’86, di cui l’autore è stato uno degli organizzatori.
Il libro contiene anche una ricercata postfazione di Luciano Curreri (professore di Italiano all’Università di Liegi), che suggerisce chiavi di lettura e propone suggestivi richiami e paralleli.
Tuttavia una storia finisce di appartenere a chi la scrive nel momento in cui è data alle stampe.
Da quel momento appartiene solo a chi la legge.