Può succedere, del tutto casualmente, che un’intenzione si trasformi fino a diventare altro rispetto all’incipit e scoprire che in questa metamorfosi essa ha conservato un ritmo narrativo che somiglia da vicino a un percorso autobiografico. Allora i vari pezzi del mosaico trovano, pur nella loro autonomia, un ordine che li tiene assieme come graffiti pescati in un arco di tempo che è passato e presente. In questo controluce è possibile avvistare la mutazione sociale, economica e culturale di un paese, non emendata da vizi e virtù seppure letta con l’occhio della memoria che sovente concede spazi di benevolenza che non alterano la sostanza. Alla fine sopravvive il progetto di un com’eravamo e come siamo che non fa sconti e allo stesso tempo non pretende di impartire lezioni lasciando che siano i fatti a fornire un quadro complessivo di un’epoca che alcuni rammentano perché c’erano, altri per averne sentito parlare o per averne trovato tracce sparse. Al centro campeggia la seconda metà del ’900 con sconfinamenti in questo secolo. Un cammino accidentato con tutte le euforie e le delusioni, i ripensamenti e i rimpianti, le gioie e le amarezze, le intuizioni e gli errori. Un quadro fatto di tanti quadri tenuti assieme da un filo invisibile che ne fa un insieme di uomini, luoghi, momenti, vicende.