È stato scritto tanto sull’offensiva austro-tedesca dell’ottobre 1917 sul fronte dell’Isonzo, ma non molto spazio è stato dato alla voce di quelli che ne sono stati travolti e che, fatti prigionieri, al loro rimpatrio hanno dovuto giustificare la loro cattura per respingere il sospetto d’essersi arresi senza combattere. Non era stato solo il sospetto del rifiuto di combattere, o di non averlo fatto abbastanza, a far sì che le autorità italiane diffidassero profondamente degli ex prigionieri rimpatriati. C’era anche la convinzione che avessero maturato dei sentimenti ostili nei confronti delle autorità politiche e militari e questo le aveva portate ad individuare in ogni ex prigioniero un potenziale sovversivo nei confronti del quale era necessaria una ferma azione di controllo e repressione piuttosto che di assistenza dopo mesi, o anni, di incredibili patimenti nei campi di prigionia.
Alcuni mesi prima dell’armistizio il Comando Supremo aveva proposto al governo un progetto di sistemazione dei rimpatriati fuori dai confini nazionali. Diaz, in una comunicazione del 7 marzo 1918, aveva avvertito la presidenza del Consiglio dell’avvenuto avvio verso l’Italia di scaglioni di sudditi italiani residenti in Russia e di ex prigionieri fuggiti dalla prigionia austriaca e aveva dichiarato di voler evitare ogni contatto con le truppe di questi torbidi soggetti, trattandosi di individui che risultano essere rimasti a lungo in contatto con gli elementi rivoluzionari russi e in gran parte appartenenti a categorie facilmente suggestionate dalla propaganda rivoluzionaria. Aveva perciò proposto di relegare in Libia o in Macedonia questi torbidi soggetti, ma precauzionalmente anche tutti gli ex prigionieri. Per fortuna, questi vergognosi progetti erano stati annullati dal tumultuoso arrivo in Italia dei prigionieri detenuti nei campi dell’impero austro-ungarico. Erano perciò stati allestiti, in gran fretta, dei campi di concentramento all’interno dell’Italia nei quali internare i prigionieri rimpatriati fino al completamento degli interrogatori e dei procedimenti penali.
Questo libro si propone di dare la voce agli ex prigionieri della Brigata Belluno, rimasta isolata sulla sinistra dell’Isonzo, sul cruciale fronte del XXVII Corpo d’Armata del generale Pietro Badoglio, attraverso decine di inediti verbali di deposizione resi di fronte alla Commissione per l’interrogatorio dei prigionieri rimpatriati conservati negli archivi dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito in Roma. L’attuale seconda edizione include inoltre alcuni interessanti documenti come le risposte alle domande rivolte dalla Commissione su Caporetto al Colonnello Alfredo Cannoniere, comandante dell’artiglieria del XXVII Corpo d’Armata, sul silenzio delle proprie artiglierie durante l’offensiva austro-tedesca del 24 ottobre 1917 che portò l’Italia sull’orlo del baratro.
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Le voci dei vinti
La Brigata Belluno a Caporetto